LADRI O PASTORI?

Una brava guida deve possedere l’arte di fare compromessi: è ciò che crede il pensiero dominante. Se non vuole perdere la forza di influire sugli altri, deve sempre riuscire ad attirare l’attenzione su di sé, deve sempre piacere. Ciò è possibile solo se si adegua a ciò che le viene chiesto. Pur di comandare, si lascia comandare; pur di stare sul palcoscenico del teatro civile, perde la capacità di pensare; o meglio, il contenuto dei propri pensieri è dettato dall’umore dei molti.

In questo modo, l’arte di fare compromessi va a braccetto con quella di fabbricare consensi. Le relazioni pubbliche, infatti, sono sempre più impregnate dal ‘piacere e colpire’. Non importa se gli atteggiamenti sono finti, se la dissimulazione diventa la modalità normale del relazionarsi, se, sul volto di chi parla, si stampa una placida intesa apparente. Se, in passato, l’autorità di una guida era fondata sul potere di coercizione, oggi, si basa sul potere di seduzione. Se si vuole entrare nell’élite di una moderna governance, bisogna, per forza, possedere l’intelligenza brillante di una cattiva coscienza.

Come duemila anni fa così, ancora oggi, Gesù ci mette in guardia da una logica del genere: «In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore» (Gv 10, 1). Perché c’è sempre chi entra nella nostra vita come un ladro e un brigante: con la manipolazione e con altre strategie che violano la nostra libertà. Chi entra nel recinto da un’altra parte è colui che si nasconde, che non vuole essere riconosciuto per quello che è, perché vive di tenebre e non di luce; è chi vuole insabbiare la verità con un’informazione parziale; è chi fa passare il pregiudizio per realtà.

Al contrario, la vera guida entra dalla porta del recinto. Non si sottrae alla fatica del riconoscimento, dell’incontro faccia a faccia, della lealtà ed onesta delle proprie osservazioni. La vera guida cerca di conoscere tutti per nome, si prende cura di ciascuno, ha a cuore la vita. La sua voce è senza rabbia, il suo tono è senza livore, si affida alla forza della verità e alla profondità dell’amore, compreso come sacrificio di sé. Si pone alla testa e non in coda al gregge, perché il suo compito non è quello di costringere ma quello di orientare nella libertà.

L’autentica guida conduce “fuori”, apre orizzonti, offre visioni, invita ad osare, indica mete, pensa a possibili soluzioni, chiede partecipazione, promuove le persone, ascolta con pazienza, agisce sempre per il bene dell’altro e mai per il proprio interesse.

La crisi derivante dalla pandemia di Covid-19 ha messo in luce una questione fondamentale che può essere tradotta in una domanda: chi si fa carico del problema? Oggi non c’è solo il problema del “che cosa bisogna fare”, ma anche, soprattutto, del “chi si assume la responsabilità”. Ciò che rende fragile la guida, il leader, chi detiene oggi la governance è la mancanza dell’assunzione seria di responsabilità. Purtroppo, tutti vogliono parlare, tantissimi vogliono “cariche”, ma nessuno vuole assumersi le responsabilità. Nel tempo in cui l’autorità si identifica con la seduzione, emerge il serio problema: si è ladri o pastori?