È LA BEATITUDINE CHE CI FA POVERI

‘Beati i poveri in spirito perché di essi è il regno dei cieli’ (Mt 5,1): con queste parole inizia il brano evangelico delle beatitudini, che l’Azione cattolica ha posto al centro del cammino associativo di quest’anno. Non sono parole di semplice consolazione, che servono solo ad illudere chi le ascolta coprendo la miseria dell’uomo con un velo di pietà. Al contrario, sono parole che rivelano la prospettiva con cui Dio guarda la storia, con cui Dio rivoluziona la vita e il modo di vedere la realtà. Per poterle capire, infatti, c’è bisogno di un capovolgimento di prospettiva, di una conversione dello sguardo. Esse pongono sottosopra la gerarchia dei valori del mondo in cui viviamo. Non vanno fraintese, ma comprese nella verità. Non parlano di una povertà che va esaltata, perché non è la povertà che ci fa beati; al contrario, è la beatitudine che ci fa poveri. Chi ha tutto, non manca di niente. Chi ha Dio nel cuore, o meglio chi è nel cuore di Dio, possiede già tutto e chiede solo di spogliarsi di ciò che è inutile; cioè di diventare povero in spirito.
Il primo ad essere uomo beato è stato Gesù di Nazareth, Figlio di Dio. Gesù è l’uomo delle beatitudini perché si è spogliato di tutto; ha pianto con gli ultimi della terra e per la condizione miserevole dell’umanità; è stato mite ed umile di cuore; ha subito ogni forma di ingiustizia; ha visto sempre l’uomo con gli occhi puri della verità; ha mostrato il volto misericordioso del Padre; è stato colui che ha fatto della propria vita il luogo della pace tra cielo e terra; è stato perseguitato fino ad essere crocifisso. Egli ha portato nel mondo l’amore di Dio, perché in Lui il Padre si è compiaciuto.
Le beatitudini sono per tutti e non per una parte elitaria o prescelta. Dio non fa selezione, egli fa elezione dell’uomo. Perciò, tutti siamo chiamati a vivere le beatitudini. La domanda è: come possiamo vivere le beatitudini, come possiamo testimoniarle?
Il primo passo è incontrare l’uomo delle beatitudini per eccellenza, Gesù di Nazareth. Fare un’autentica esperienza di Dio. Cercare di lasciarsi coinvolgere in una profonda esperienza del suo amore. Se in quest’anno l’Azione cattolica parrocchiale si impegnasse in una bella esperienza di fede, in un’esperienza di incontro vero e serio con il Signore, se si lasciasse riscaldare il cuore dal suo amore misericordioso e pieno di gioia e se riuscisse a contagiare gli altri con l’amore di Dio, allora sarebbe seme di vita nuova per la comunità parrocchiale, sarebbe lievito che fa fermentare la storia della nostra città. Ciò significa che non bisogna essere presi solo dalle tante iniziative da organizzare, ma da un’esperienza di fede da vivere e da comunicare nella gioia di aver incontrato il Signore.