IL “CONTAGIO” DELLA PREGHIERA

In questi giorni la preghiera fluisce come l’acqua che scorre nel letto di un fiume: scende nell’anima, attraversa ogni fibra del corpo, si perde nel mare del mondo. Non è fatta di parole sempre uguali, quelle logorate dall’abitudine. Né da parole prese da una vecchia memoria, che le ripete ben ordinate, l’una dietro all’altra, come perle infilate in una bella ma fredda collana. Non è neanche quella espressa con parole forti e chiare, che si impongono all’altro, per non essere distratti e lontani. E, perdonatemi, non è nemmeno quella che corre di messaggio in messaggio per le vie velocissime dell’odierna comunicazione.

La preghiera di questi giorni è sussurrata, quasi non letta sulle tenere labbra. È fatta di silenzi profondi, come quelli ascoltati nelle strade e nelle piazze delle nostre città, che in questo tempo vivono anch’esse nell’attesa che tutto finisca. È quella che occupa i grandi spazi vuoti, dov’è possibile l’esercizio della meditazione e la messa alla prova di un pensiero che va in cerca della vera ragione. È sofferta come le doglie di una partoriente, sostenuta dall’amore per un futuro che stenta a venire alla luce. È sospesa al tubo di un ventilatore che conduce ossigeno: dono di una vita fatta di respiri e sospiri. È composta di lacrime solitarie che salutano un affetto nel suo distacco, al quale non si è potuto dare nemmeno l’ultimo abbraccio. È fatta, direbbe san Paolo, di quei ‘gemiti inesprimibili’ (Rom 8, 26), che dicono ciò che nemmeno noi sappiamo od osiamo chiedere, ma che lo Spirito Santo domanda, silenziosamente, intercedendo per noi, dentro la nostra stessa vita.

Sì, la preghiera di questi giorni è fatta di vita. Perciò è vera. Essa scorre liberamente, senza nemmeno che ciascuno di noi se ne accorga.

È una preghiera che, nascosta nel cuore, ci fa sentire uniti per sempre; ci rende un cuor solo e un’anima sola (At 4,32), capaci di essere ancora una comunità davanti all’unico sguardo di un Dio che ci attende. È una preghiera fatta, per ora, di desiderio di fronte a quel pane spezzato, che per noi è l’Eucaristia (rendimento di grazie).

Venerdì sera, in Piazza San Pietro, si è elevata al cielo in una sola voce per mezzo di chi, unico al mondo, è vicario di Cristo, Salvatore dell’uomo. È salita al cielo schivando la pioggia, attraversando le nubi, squarciando il cielo, con una forza a cui Dio dà ascolto, perché fatta dai cuori di coloro che sanno di trovarsi persi per sempre senza il suo paterno intervento.

Seppur fatta di poca fede, è una preghiera che è sempre capace di svegliare chi si pensa che dorma, non prendendosi cura della nostra vita che affonda (Mc 4,38). La preghiera è l’unica forza che nasce dalla debolezza di ciascuno di noi.

La preghiera «Non è il tempo del tuo giudizio, ma del nostro giudizio: il tempo di scegliere che cosa conta e che cosa passa, di separare ciò che è necessario da ciò che non lo è. È il tempo di reimpostare la rotta della vita verso di Te, Signore, e verso gli altri», prendendo in prestito le parole (preghiera) di papa Francesco.

In questi giorni, speriamo che la nostra preghiera sia il vero ‘contagio’, quello che ci fa essere solidali e uniti.