“IL MASSIMO DELLA PENA”: LA CARITAS AL SERVIZIO DEI CONDANNATI

Esistono vite segnate dall’errore, dal dolore, bisognose di comprensione e desiderose di accettazione. Sono quelle di coloro che hanno compiuto reati minori, che portano in sé la ferita del peccato. Spesso vittime del pregiudizio e delle restrizioni delle carceri, la loro umanità, in alcuni casi sepolta, in altri si rivela in tutta la sua imponenza. E lo sa bene chi ne conosce la spiritualità, come i cappellani delle carceri. Il cuore di chi ha sguazzato nell’errore, spesso, è più fertile di quello dell’uomo comune. Le misure alternative alla detenzione, comminate a determinate condizioni, costituiscono il primo passo per il reinserimento nella società civile e per la riabilitazione morale e spirituale di questi rei. A tal fine, la Caritas diocesana ha organizzato un corso per la formazione di tutor/volontari da affiancare ai rei che beneficiano di misure alternative alla detenzione. “Il massimo dAlla pena” è la denominazione del progetto che ha preso il via sabato 24 febbraio e si è articolato in sei incontri, tenutisi presso il “Centro Elim” di Somma Vesuviana.

Un progetto per lungo tempo voluto e finalmente concretizzato. “L’intento – ha spiegato Antonella Carbone, suo referente – è stato quello di creare un percorso rieducativo e di riabilitazione che permettesse alla persona che ha compiuto un reato minore di reinserirsi nella società con maggiore consapevolezza, abbattendo il muro del pregiudizio. Il tutor, in questo senso, avrebbe avuto il compito di trasformare il filo spinato del dolore in un cuore per il resto della vita”. Un’umanità da ricostruire, un cuore da alimentare, una speranza da restituire. Ed è nelle relazioni sociali, quelle vere e sane, che può realizzarsi l’autenticità dell’individuo. “È importante sviluppare l’individuo – ha aggiunto Carbone – ma lo è altrettanto creare un gruppo. Le persone sottoposte a misure restrittive sono, infatti, chiamate a relazionarsi tra loro formando una sorta di microsocietà propedeutica al reinserimento nella società civile”.

Il viceparroco della nostra parrocchia, don Vincenzo Miranda, esperto della realtà carceraria, nella quale ha prestato, nel corso della propria esperienza vocazionale, assistenza spirituale ai detenuti, ha introdotto il percorso formativo conil racconto della propriaesperienza. “Quando si parla del mondo della detenzione – ha spiegato – la difficoltà maggiore stanella scarsa conoscenza di questa realtà. Una volta che si è vicini a questo mondo si scoprono le persone, le storie, si guarda da vicino la vicenda esistenziale di una persona che ha sbagliato, ma che resta sempre persona. Allora, si tende a cambiare, ad essere più attenti e, soprattutto per quanti sono cristiani, a guardare un po’ quella presenza che, dal Vangelo, sappiamo essere la presenza di Cristo stesso”.

Nell’incedere del percorso di formazione, vari sono stati gli aspetti toccati. Dalle varie misure alternative alla detenzione, all’intero processo di accompagnamento e ai soggetti coinvolti, passando per il ruolo educativo e gli strumenti di cui necessita un tutor. La quinta sessione, particolarmente intensa ed emozionante, ha avuto ad oggetto la testimonianza di Lucia, una mamma che ha vissuto il percorso rieducativo e che ha reso edotti i volontari della sua rivoluzione interiore. In cantiere, un convegno pubblico conclusivo dell’esperienza.