CONOSCIAMO IL NOSTRO VICEPARROCO

A fine marzo, a pochi giorni dalla Pasqua, il nostro caro viceparroco don Vincenzo Miranda è stato investito da una chiamata superiore, diventando parroco della comunità di Faibano (in Marigliano).

A lui va tutta la nostra gratitudine per essere stato per noi un guida presente e generosa.

Il testimone è ora nelle mani di don John Kumar, che già da qualche mese è entrato a far par parte della nostra comunità. La redazione di Universo Uomo lo ha incontrato, avendo così l’occasione di conoscere meglio il suo percorso spirituale e la sua esperienza di vita.

 

Come è nata la tua vocazione?

Quello di cui sono sicuro è che non è nata da me, ed è giusto che sia così perché nessuna chiamata nasce da sé stessi, la chiamata è di Dio. Non ho una motivazione che viene da me, come per esempio aver amato particolarmente la vita di un santo oppure aver avuto un sogno particolare, Dio ha messo un forte desiderio dentro il mio cuore, io l’ho solo saputo coltivare per grazia di Dio.

Io avevo 14 anni quando sono entrato in seminario minore, e poi ho fatto il seminario maggiore.

La tua famiglia era Cristiana?

La mia famiglia è cristiana da secoli. Il cristianesimo arriva prima in India che in Europa perché la terra santa è più vicina all’India che all’Italia, san Tommaso arrivò in India prima che Pietro e Paolo arrivassero in Europa. L’India però è un subcontinente e lì non prosperò come prosperò qui grazie all’editto di Costantino.

Anche in India i Cristiani sono stati perseguitati, ma ci sono queste famiglie evangelizzate dal primo secolo e la mia famiglia era una di queste, quindi è molto cattolica.

I tuoi genitori sono stati contenti della tua scelta?

Mia madre è morta quando avevo un anno e mezzo. Papà non si è risposato, e all’inizio, dato che era molto attaccato a me, non era d’accordo che io entrassi in seminario, poiché non voleva perdermi. Però poi piano Dio ha operato nel cuore di mio padre tanto che è arrivato ad essere orgoglioso della mia scelta. Oggi nemmeno lui è più con noi perché è morto da tre anni.

Come è composta ora la tua famiglia e come vivi la lontananza?

Nella mia famiglia siamo cinque fratelli, in ordine di età ci sono: Lucio e Immacolata che sono dei medici, Maria che è casalinga perché mi ha cresciuto e ha dovuto lasciare la scuola, Giosuè che è insegnante e poi ci sono io, che sono il più piccolo. Mia sorella Maria è diventata la madre di tutti, anche di quelli più grandi dopo la morte di nostra madre. Ora sono tutti in India, tutti sposati con due figli ciascuno. Non vivo la lontananza da loro con disagio, certo ci sono momenti in cui mi mancano un po’ di più, però poi mi dico che ognuno di noi è missionario, la mia missione è quella di diventare sacerdote e non sono stato obbligato, quindi sono felice anche se non sono sempre vicino a loro.

Quando sei arrivato in Italia e dove sei stato prima di arrivare da noi?

In Italia sono arrivato nel 2001 come studente di Teologia, poi sono tornato in India per essere ordinato sacerdote nella mia parrocchia di origine, che è la terza più grande del mio Stato. Ho preso la licenza in Teologia Dogmatica e ho insegnato due anni nel seminario maggiore, infine sono tornato nel 2009 in Italia e ci sono rimasto fino ad oggi. Quando arrivai la mia prima destinazione parrocchiale è stata Torre Annunziata, dove sono rimasto sette mesi, dopo sono andato nelle Marche ad Ascoli Piceno perché il vescovo, appena seppe che ero in Italia mi volle lì. Ad Ascoli sono stato cappellano all’ospedale civile provinciale per quasi quattro anni e poi nel 2012 sono venuto nella diocesi di Nola, di cui sono sacerdote incardinato. Ho fatto per 5 anni il viceparroco a Scafati, poi amministratore parrocchiale sempre a scafati ed ora sono a Boscoreale, dove ho iniziato il mio nuovo percorso da un paio di mesi.

Ti sei sentito accolto?

Io sono convinto che il bene non è unilaterale, è reciproco, è da entrambi i lati. In Italia ovunque sono stato le comunità mi hanno amato, infatti ancora vado ad Ascoli Piceno, a Potenza, a Scafati e Torre Annunziata, perché tutte le persone sono legate a me. Dire che conosco migliaia di famiglie è riduttivo, ancora oggi mi ritrovo a celebrare battesimi e matrimoni di persone che ho lasciato nelle comunità in cui sono stato. Quando la seconda volta dovevo venire, il mio superiore mi diede la possibilità di scegliere tra L’America e l’Italia, io ho scelto l’Italia perché mi piace molto e ho migliaia di amici e di famiglie che mi vogliono bene.

All’inizio venire in Italia era obbligatorio o è stata una tua scelta?

Io ho studiato per 12 anni per diventare sacerdote, 8 anni in India e 4 in Italia, dove sono stato nel seminario interdiocesano della Basilicata a Potenza. Ero il più bravo negli studi e quindi la mia congregazione mi ha scelto per venire qua. Perciò poi sono andato in Basilicata, per un anno sono stato a Roma e dopo aver finito gli studi sono tornato in India per essere ordinato sacerdote tra i miei parenti.

Ti hanno affidato una parrocchia già in India?

Il mio primo incarico in India è stato fare la specializzazione in Teologia Dogmatica dai Gesuiti, poi come economo del seminario e infine docente nel seminario maggiore. Quando stavo in seminario anche se non ero direttamente collegato alla parrocchia del mio stato Andhra Pradesh, avevo io rapporti con la comunità perché il parroco non parlava la lingua del mio stato, e maggior parte del lavoro pastorale lo facevo io.

Ma la comunità parrocchiale vera e propria l’ho avuta in Italia.

C’è stato qualche episodio del tuo percorso di vita che ti ha toccato particolarmente?

Ho lavorato all’ospedale di Ascoli Piceno tra gli ammalati e quello è stato molto forte in tutti i sensi ma molto bello allo stesso tempo perché mi ha insegnato a stare vicino alle persone che sono più deboli.

Tra tutte le esperienze questa è stata davvero quella che più mi ha toccato. L’ospedale aveva 600 posti letto e ho visto tante persone morire, con la malattia e la sofferenza. Prediligevo sempre il ramo accademico, prediligevo gli studi, ma da quanto ho avuto queste esperienze di contatto con le persone, se mi fai scegliere tra insegnare e avere una parrocchia, io ti dico la parrocchia. La vera famiglia si nota nella parrocchia, la parrocchia è più ricca, lo scopo della teologia è la pastorale, cioè la salvezza delle anime e nella parrocchia si vede bene. La parrocchia è la porta della Chiesa. Infatti nel coltivare il desiderio che Dio ha messo in me, c’è stato il contributo del mio parroco, io lo ammiravo, e lo ricordo con grande piacere perché ha dato un grande contributo al mio percorso. Perché le parrocchie guidate dai parroci-padri non dai parroci-istruttori, e da religiose-madri, sono feconde.

 

Articolo di Carmela Rita De Rosa & Giovanna Vitelli