IL SENSO DI APPARTENENZA

Porto con me un insegnamento che mi ha aiutato tantissimo nel mio essere credente e nel dialogo con chi non lo è. Si tratta di una frase che ho ascoltato al secondo anno degli studi di teologia. Il teologo partenopeo Bruno Forte, mio professore, durante una lezione disse: ‘Un ateo è un credente che ogni giorno si sforza di non credere; un credente è un ateo che ogni giorno si sforza di credere’. Da allora è crollato in me quel muro di separazione che distingue nettamente due opposte appartenenze: quella al mondo dei credenti e quella al mondo degli atei. In qualche modo, l’esperienza religiosa non ti libera mai completamente da una forma di ateismo che giace, consapevolmente o inconsapevolmente, nel pensare, sentire e agire quotidiano. Così non c’è mai un ateo che sia libero del tutto da una capacità di credere e di affidarsi a Dio nel concreto della sua vita. Da quel giorno, ho imparato che una vera appartenenza non significa mai esclusione dell’altro, e che è fondamentale mantenere sempre in relazione persone che possono risultare agli occhi di molti come appartenenti a mondi diversi.

Le appartenenze sono importanti per dire chi si è, per riconoscere una propria identità, per appassionarsi a un progetto di vita condiviso. Tuttavia, possono nascondere pericolose ambivalenze, soprattutto quando nascondono delle visioni ideologiche, nelle quali al centro non c’è il valore della persona ma l’affermazione di una idea. In questo modo, la difesa della propria appartenenza ed identità diventa tendenzialmente aggressiva.

Perciò, il dialogo è necessario e non va confuso con una semplicistica ricerca di un accordo tra le parti, quanto riconoscere al diverso di esistere con tutte le appartenenze di cui è portatrice. Parlo di appartenenze e non di appartenenza, perché non esiste una appartenenza pura e al singolare. Questo lo si nota già in ambito linguistico: parlo italiano, ma in esso c’è del latino, del greco ma anche del francese e dello spagnolo. Dove sta la purezza di un’appartenenza? La miseria umana fa forse distinzione tra credente e ateo, europeo e africano, tra nord e sud del mondo? Quando si teorizza una tale purezza, confondendola con l’idea di identità, è facile passare dalla tensione, a volta inevitabile, alla violenza gratuita.

Ciò di cui abbiamo bisogno oggi è la possibilità di riconoscerci comunità con tutte le distinguibili e diverse appartenenze. Non dobbiamo lasciarsi coinvolgere dal rischio della frammentazione, assolutizzando un’appartenenza tra le altre. Piuttosto, dovremmo aprirci a un progetto comune che parte principalmente dall’accettazione del fatto che l’esserci dell’altro è un valore che supera ogni identità e appartenenza, ogni schieramento, qualsiasi esso sia, frutto di proprio giudizio o di una diversa valorizzazione.

La parrocchia è Chiesa cattolica se si fa promotrice di questo progetto. In fondo, essere cattolici significa fondamentalmente essere ‘aperti’ agli altri senza identificare la fede in un’appartenenza specifica: geografica, culturale, linguistica, etnica, politica… La fede in Gesù Cristo trascende ogni appartenenza umana, perciò è capace di generare comunità, accoglienza e coinvolgimento. Qual è il senso di appartenenza? Che l’altro in qualche modo sono anche io; che Dio si è fatto uomo!