LA PRESUNZIONE CHE UCCIDE E L’UMILTA’ CHE SALVA

Ho sempre ritenuto che la verità non stia nei ragionamenti astratti della mente, ma semplicemente nel buon uso dei sensi (buon senso) e dell’intelletto. Basterebbe pochissimo, allora, per capire che ci troviamo in un momento di grande difficoltà; eppure, non tutti lo comprendono nei fatti. Sono addolorato quando vedo chi gioca a fare l’eroe lanciandosi nell’arena delle polemiche astratte o gareggia nel comportarsi in modo irresponsabile, mettendo a repentaglio la propria e l’altrui vita. Sono scosso da una maggioranza che trepida al pensiero di essere risucchiata dal turbine invisibile del contagio. Ammiro chi sta in prima linea e lavora senza sosta per il bene di chi si è ammalato, accettando turni di lavoro estenuanti. Sono preoccupato per i tanti che rischiano di perdere il lavoro, se non l’hanno già perso. Sono vicino a chi ha perso un caro senza nemmeno dargli un saluto con il decoro di un affetto immutato, che travalica i confini del tempo. Sono certo che domani non sarà più come ieri, e che un grande cambiamento mi è richiesto oggi, subito.

Quale speranza è possibile vivere in questo tempo?

Diceva Chesterton che due sono i peccati che distruggono la speranza: la presunzione e la disperazione.

So che le cime sono sempre tempestose, non solo quelle dei monti, soprattutto quelle della presunzione, che guarda dall’alto verso il basso e uccide chiunque provi a buttarla giù dal piedistallo. Mi spaventa chi crede di stare al di sopra degli altri, banalizzando ogni sforzo che si fa per fermare l’avanzata virale di questi giorni e, credendo solo in sé stesso, evita di ascoltare e di collaborare responsabilmente.

Alcune ‘cime’ di stato sono state obbligate a fare dei passi indietro. Spero che il peggio sia evitato e che il secondo peccato contro la speranza, la disperazione, non mi chiuda in me stesso, non mi immobilizzi, togliendomi la forza per lottare e per superare questo periodo. La disperazione non può e non deve prendere il sopravvento. Devo imparare a resistere e pensare che tutto questo passerà.

La speranza nasce da una discesa, dallo scendere a valle, dove la realtà è più grande; dove si respira l’umile impegno quotidiano; dove le piccole cose si osservano nella loro reale grandezza. Scendere a valle vuol dire mettere i piedi per terra; toccare l’humus della vita; gustare le cose semplici; nutrire i propri pensieri con la concretezza piuttosto che con la fantasia; vivere la bellezza del poco, senza dannarsi per la mancanza del superfluo. Scendere a valle vuol dire vivere di umiltà: quella virtù dimenticata che salva dalla presunzione e dalla disperazione. L’umiltà è la percezione della profondità delle cose; è forza che resiste ad ogni fatica; è opposizione a tutto ciò che umilia l’altro; è sensibilità d’animo.

Oggi so che posso sperare solo se nutro e curo la mia vita con l’umiltà, percorrendo la strada che porta da cima a valle, dall’uccidere al salvare, dall’alienazione all’immersione nella storia; un percorso che Dio stesso ha compiuto nel mistero dell’incarnazione. Posso sperare solo se credo nel Dio che mi insegna a non aver paura e a fare buon uso dei sensi e dell’intelletto.

 

don Alessandro Valentino