TROVARE UN “POSTO” NEL MONDO

Quante volte ci è capitato di definire i giovani come superficiali e ignoranti dimenticandoci che la nostra classe dirigente, pubblica e privata, non è proprio perfetta e che, quindi, i punti di riferimento delle nuove generazioni sono fortemente discutibili?
La mia generazione, certo, è particolare, si perde dietro a uno smartphone e non sa cosa sia la potenza di uno sguardo vero ma, allo stesso tempo, in questo momento storico, culturale e politico, se non si possiedono caratteristiche propriamente personali o non si hanno le giuste motivazioni, un giovane si perde nell’oblio dell’incertezza che qualcuno prima di lui ha lasciato.
La mia è una generazione che vive di ansia e insicurezza, che vive tra l’invio di un curriculum senza risposta e uno a cui la risposta corrisponde a un impiego che supera di gran lunga l’immaginazione (contratti senza garanzia di rinnovo e sottopagati).
Ai giovani non spaventa l’impegno, spaventa l’impegno vuoto, l’impegno a cui non segue la giusta ricompensa, l’impegno a cui non segue la possibilità di conquistare un’indipendenza personale ed economica.
I giovani credono ancora nei valori saldi della vita, ma non hanno il modo e l’opportunità di renderli concreti.
La superficialità che a volte sembrano rispecchiare è solo il riflesso dell’approccio disinteressato e ignavo degli adulti. Questi ultimi dimenticano di essere dei modelli di comportamento fondamentali, sottostimando o esercitando coercitivamente il loro ruolo.
Fin dall’adolescenza, ogni ragazzo/a deve costituire e rinforzare il proprio senso di autoefficacia scolastica (apprendere nuove conoscenze), sociale (saper stabilire e mantenere relazioni) e regolativa (sapersi adattare alle nuove situazioni o saper fronteggiare quelle problematiche).
È proprio il sentirsi “efficaci” e riuscire ad essere resilienti che può aiutare a superare i periodi di insicurezza e gli ostacoli che inevitabilmente la vita ci pone. Come riuscirci? Con i giusti stimoli.
La famiglia, la scuola, la società devono concretamente supportare, dare fiducia, consapevolizzare e valorizzare gli uomini del futuro.
Ci sono giovani tra i 15 e i 24 anni che si perdono. Sono fuori da tutto: dal lavoro, dall’istruzione e dalla formazione. Si chiamano Neet e, in Europa, sono il 11,5% della fascia di popolazione della loro età. Governi nazionali e istituzioni comunitarie fanno fatica ad individuarli, e assorbirli risulta impossibile. Ma non sono gli unici a rappresentare la generazione perduta: i lavoratori più giovani con contratti non standard sono «considerevolmente più a rischio precarietà». Un’altra notizia sconcertante legata all’evoluzione del mondo del lavoro e alla crisi che mostrano le ricerche.
Sembra che l’Europa non sia a misura di giovani, ma la nostra Italia sembra esserlo ancor meno con la più alta percentuale di Neet (pari al 19.9%).
Il nostro sembra essere un paese in cui noi giovani fatichiamo a crearci un futuro e, in questa situazione, non possiamo fare altro che adattarci e sperare che le cose, prima o poi, cambino.

Articolo di Felicia Roga