INFORMAZIONE E RESPONSABILITA’

Anche e soprattutto in tempo di Covid-19 l’informazione assume un rilievo primario, avendo un grande impatto sul sentimento dell’opinione pubblica. Si comunicano i dati e l’andamento della curva epidemica, si dà voce agli esponenti politici, agli esperti scientifici, ai leader dei Paesi, ai guerrieri del “fronte sanitario”, alle varie categorie vessate dalla crisi, agli economisti. Tuttavia, soffermandosi attentamente sui contenuti giornalistici che, quotidianamente, vengono propinati dai media, nasce spontaneo un interrogativo. Stiamo assistendo veramente ad un’attività di informazione responsabile? Tutti noi veniamo adeguatamente messi a conoscenza dell’evolvere dei fatti in relazione alla criticità della situazione? Marco Iasevoli, giornalista di “Avvenire” e, da qualche mese, ex presidente dell’Azione Cattolica diocesana, ha risposto, come segue, ad alcune nostre domande sul ruolo del giornalismo, oggi, ed, in particolare, del giornalismo cattolico, nonché sulla posizione della Chiesa e sulla sua esperienza di presidente diocesano di Azione Cattolica.

Quale ritieni sia il principale dovere che un cronista debba assolvere in un momento così critico?

In questo momento, i giornalisti ed il mondo dell’informazione sono chiamati a riscoprire quell’equilibrio, in costante ridefinizione, tra dovere d’informazione, diritto d’informazione, responsabilità pubblica e trasparenza. Oggi, questi quattro pilastri devono camminare insieme altrimenti l’informazione non rende un buon servizio al Paese.

C’è molta confusione sui dati che vengono diffusi sul contagio. Spesso i titoli dei giornali non sono chiari. Si potrebbe gestire meglio la comunicazione a livello istituzionale e da parte delle testate?

Sulla comunicazione dei dati sono state fatte scelte discutibili. A lungo, ad esempio, non si era capito che il dato dei nuovi contagi si ricavava sottraendo ai contagiati il numero di decessi e di guariti. Un esempio: se in un giorno vi erano stati 6000 nuovi contagiati, 700 decessi e 700 guarigioni, si diceva che vi erano in Italia 4600 casi in più rispetto al giorno precedente. C’è voluto tempo per capire questa strana contabilità ed è stato un errore proporre ai cittadini uno schema così criptico. Questo sul piano tecnico. Sul piano politico, la cosiddetta “comunicazione istituzionale” è stata ampiamente piegata alle logiche della comunicazione per il consenso. Tuttavia, ciò non è accaduto con Covid-19. Si tratta di un fenomeno che ha radici molto profonde. Personalmente, da quando lavoro, non ricordo una sola conferenza stampa del Consiglio dei Ministri che sia stata orientata allo stile della comunicazione istituzionale. Se vogliamo recuperare modelli informativi oggettivi, obiettivi e “neutri”, occorre prima “rieducare” le classi dirigenti.

Su quale aspetto il giornalismo cattolico deve battere per mantenere la sua credibilità?

Il giornalismo cattolico esce bene da questa prova, a mio modo di vedere. Sia a livello nazionale che a livello locale si è distinto per senso di responsabilità, certezza delle fonti e, soprattutto, raccontando storie di dolore e di speranza che hanno consentito ai cittadini di comprendere la portata di questo dramma. Oggi, noi dobbiamo batterci perché i cittadini siano trattati dalle istituzioni come “adulti” e non come bambini a cui raccontare una favola edulcorata.

L’ultimo intervento di papa Francesco è sembrato essere un monito verso l’Europa. Come si pone la Chiesa cattolica sulla crisi pandemica dal punto di vista etico-sociale?

La Chiesa ha inizialmente sofferto la privazione delle liturgie con il popolo. Poi, si è rimboccata le maniche, mi pare, su due direttrici: presenza educativa nel popolo e carità, prossimità al disagio. Oggi, il papa e i vescovi richiamano una parola sopra le altre: solidarietà. È chiaro a tutti, anche a chi è europeista convinto come me, che, se l’Europa non riscoprirà la solidarietà, non potrà durare a lungo. Sul fronte ecclesiale, l’unica nota stonata sono state frange di fanatici, così le definisco, che si sono rifiutate di vedere il bene comune nella privazione e che, strumentalizzando la fede e il bisogno di spiritualità, si sono scagliate contro chi ha responsabilmente collaborato con le istituzioni.

Un piccolo bilancio sull’ormai concluso periodo di presidenza dell’Azione Cattolica diocesana.

Oggi, a parlare dei sei anni di presidenza diocesana, mi sembra di guardare un film del secolo scorso. È passato pochissimo tempo ma sembra un’era fa. È stato un periodo intenso e io voglio credere che sia stato “propedeutico” al tempo che stiamo vivendo: la fortificazione di un legame diocesano ci ha aiutato in questo momento a non sentirci soli, a dare risposte educative e comunitarie pronte, veloci, forti. Di quei sei bellissimi anni, l’unico bilancio che conta è che ci siamo fortificati come credenti e come cittadini e che, attraverso lo stile del discernimento, abbiamo imparato a “rispondere”, cioè ad essere responsabili.

Nel ringraziare, a nome di tutti i soci di A.C. dell’Immacolata Concezione, Marco Iasevoli per il servizio svolto in diocesi, evidenziamo, semmai ce ne fosse ancora bisogno, la necessità di un’informazione seria, che renda, a sua volta, un buon servizio all’utenza, già duramente provata e confusa dalla situazione contingente.